L’allerta coronavirus ha spinto molte aziende a incentivare il lavoro da remoto. Ma occorre prendere contromisure di sicurezza per i dati aziendali e personali.

Il telelavoro e lo smart working (lavoro agile) in questi giorni sono tornati sotto i riflettori a causa dell’allarme coronavirus. D’altronde le misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, previste dal decreto legge 23 febbraio 2020, impongono cautela e poche alternative alle imprese.

Da ricordare che si può fare ricorso a smart working “in via automatica“ fino al 15 marzo solo nelle regioni oggi interessate dai contagi, quindi la procedura sarà agevole per le aziende che si sono già organizzate da tempo e piuttosto complicato per quelle costrette ad accordi individuali da registrare sul portale del ministero del Lavoro.

I principali vantaggi del lavoro remoto, com’è risaputo, sono legati al fatto che gli strumenti informatici software e i servizi cloud consentono in molti casi di proseguire nelle attività lavorative senza recarsi nelle sedi della propria azienda. Il problema è che i rischi per la sicurezza informatica e per la privacy (Gdpr) possono aumentare se non vengono rispettate le procedure suggerite dagli specialisti. In sede le barriere difensive sono costantemente presidiate, mentre a casa vi sono più fronti esposti.

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